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Oro dai Visconti agli Sforza (mostra)

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MOSTRA: Oro dai Visconti agli Sforza. Smalti e oreficeria nel Ducato di Milano, Museo Diocesano di Milano, 30 settembre 2011 – 29 gennaio 2012, a cura di PAOLA VENTURELLI. Catalogo della Silvana Editoriale (Cinisello Balsamo 2011).

La mostra intende esplorare, per la prima volta in Italia, l’evoluzione dell’arte orafa a Milano nei seocli XIV-XV, attraverso 60 capolavori, tra smalti, oggetti d’oreficeria sacra e profana, codici miniati provenienti dai più prestigiosi musei e istituzioni italiani e internazionali, come la National Gallery di Washington, il Louvre di Parigi, il Musée Massena di Nizza, la collezione Valencia de don Juan di Madrid, la Cattedrale di Essen (Germania). L’eccezionalità dell’esposizione è testimoniata dal fatto che, in virtù della loro fragilità, molti dei pezzi presentati escono per la prima volta dal museo che li conserva e dove, in alcuni casi per timore di essere danneggiati dalla luce, non vengono esposti al pubblico.

Poche corti possono eguagliare in sfarzo e ricchezza quella viscontea- sforzesca tra XIV e XV secolo. Il mecenatismo dei Visconti, alla fine del XIV secolo, rese Milano il centro artistico più attivo e importante dell’epoca, famoso in tutta Europa. Nel 1360, Galeazzo II Visconti fece erigere il castello di Pavia, trasformandolo ben presto in uno scrigno di volumi miniati dai più famosi maestri del tempo, quali Giovannino de’ Grassi e Michelino da Besozzo, qui presenti rispettivamente con il codice contenente l’Elogio funebre di Gian Galeazzo Visconti, raffigurante l’’Incoronazione a Duca di Gian Galeazzo Visconti’ (Bibliothèque Nationale di Parigi), e col foglio miniato illustrante la ‘Dama con falcone’ (Louvre).

Proprio a Gian Galeazzo Visconti (1351-1402) e alla figlia, la bella Valentina, sposa di Luigi d’Orléans (fratello del re di Francia), si legano alcuni gioielli, realizzati con la tecnica a smalto detta en ronde-bosse, in cui lo smalto è steso sopra l’oro lavorato a rilievo, creando così delle micro sculture, caratterizzate da soggetti naturalistici, anche in senso araldico, come la tortorella su un sole raggiato e il motto À bon droyt, che tradizione vuole sia stato creato da Francesco Petrarca. Dopo la morte dell’ultimo erede Visconti, Filippo Maria, che portò al grande saccheggio del Castello Visconteo e alla dispersione del tesoro, la tradizione orafa milanese seppe continuare anche sotto la dinastia degli Sforza, com’è testimoniato dal Tabernacolo realizzato per la cattedrale di Voghera (1456 circa; ora nelle Civiche Raccolte d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano), le cui forme tardogotiche ricordano l’architettura del Duomo di Milano.

Un rinnovato vigore segnò il ducato di Ludovico il Moro che ricostruì il tesoro dinastico, la cui bellezza e ricchezza riuscì a stupire una raffinata collezionista quale Isabella d’Este, signora di Mantova. Sono anni che vedono la presenza di Caradosso Foppa, maestro di Benvenuto Cellini, orefice abile nell’arte degli smalti, ma anche quella di Leonardo da Vinci che si dilettava nella creazione di cinture e borsette, studiando gli smalti e altri materiali per produrre perle finte e oggetti preziosi. Alcune opere in mostra ricordano il passaggio a Milano del genio toscano del Rinascimento, come la piccola anconetta del Museo Correr di Venezia, esposta per la prima volta, che cita la ‘Vergine delle rocce’, o la Pace con il ‘Cristo’ in smalto azzurrato proveniente da Lodi.

Proprio la tecnica a smalto è una delle caratteristiche più riconosciute dell’oreficeria visconteo-sforzesca. In particolare, gli artisti milanesi sperimentarono lo smalto “a pittura”, la cui qualità realizzativa spesso gareggiava con la miniatura. Ne è un esempio, il medaglione apribile arrivato dalla collezione Valencia de Don Juan di Madrid, con la ‘Deposizione della croce’ che si staglia sulla raffigurazione della basilica milanese di San Lorenzo, un’opera eseguita affinché il fedele potesse ripercorrere gli episodi della Passione di Cristo; o ancora il Tabernacolo Pallavicino (ante 1495), proveniente dal Museo Diocesano di Lodi, donato alla cattedrale della città dal vescovo Carlo Pallavicino, ricco di smalti e corredato da statuette d’argento, che si avvicinano alla bottega dei Mantegazza, grandi scultori del Rinascimento lombardo che dimostra quanto l’oreficeria sia in stretto dialogo con l’architettura del momento.

Attraverso una serie di cinture ravvivate da inserti smaltati, l’esposizione testimonia inoltre quanto gli artisti orafi contribuirono all’evoluzione della moda milanese, completando le invenzioni di Beatrice d’Este, la giovane moglie di Ludovico il Moro. E sempre legato alla figura di Beatrice è il raro codice, proveniente dalla Biblioteca Trivulziana di Milano, il Canzoniere per Beatrice d’Este, scritto dal poeta Gasparo Visconti (1495-1496). Chiudono idealmente l’esposizione i Tarocchi della Pinacoteca di Brera, carte da gioco, con fondo d’oro puntinato sul quale campeggiano personaggi abbigliati alla moda in uso nella corte del Ducato di Milano.

La mostra è stata recensita da PHILIP RYLANDS, in The Burlington Magazine, volume CLIV, January 2012, number 1306, pp. 60 e 61.

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